Gianni Lora Lamia torna con un racconto da pelle d’oca. La Dakar 1999, ultima del XX secolo, sancì l’avvio di alcune carriere stravaganti così come l’affermazione del potenziale italiano nei rally raid. Gianni ci accompagna per mano nella sua esperienza, di quella che fu “la tappa dalle mille forature”. Sedetevi con noi intorno al fuoco, con le gambe incrociate e granelli di sabbia tra le dita.
La Dakar 1998 era partita alla grande, in cui eravamo in testa alla classifica della classe T1 Marathon (molto importante per le case costruttrici) fino a quasi la metà della corsa. Per colpa di molteplici problemi meccanici, che ci fecero perdere moltissimo tempo, sono stato costretto ad una rimonta da brividi per terminare la corsa dignitosamente, in una Dakar che venne catalogata come un massacro. Gli unici 40 equipaggi auto che terminarono la corsa vennero soprannominati i sopravvissuti della Dakar 1998; questo per dare un idea della difficoltà di quelle edizione che porta ancora oggi alta, la bandiera del ventennale della gara.
Ma veniamo al 1999.
Il signor Emilio Giletti (rappresentante del mio main sponsor) dopo vari tentativi con il team Mitsubishi e con il team di Jean Louis Schlesser, non andati a buon fine per per decisioni prese in ritardo, ritornò da André Dessoude in Normandia. Questa volta però la Nissan era un prototipo alleggerito e potenziato. La NISMO (famoso preparatore della casa nipponica) era il braccio armato per le corse rally raid e per la Dakar, rappresentato in Europa dal team Francese Nissan Dessoude. La macchina sembrava molto cattiva, nonostante fosse soltanto ferma in garage. Ma chissà se anche in Africa sarebbe stata altrettanto feroce!
Arrivato a Saint Lô in Normandia, nella sede della Nissan Dessoude a pochi kilometri dalla famosa spiaggia del D-Day, mi vennero presentati i miei compagni di squadra e rivali. Henry Pescarolo, pilota di Formula 1 e quattro volte vincitore della 24 ore di Le Mans. Gregoire de Mevius, campione del mondo Rally Gruppo N e vincitore del Safari Rally in Kenya. Ma la sorpresa più grande doveva ancora arrivare; infatti Stephane Peterhnasel, 6 volte vincitore della Dakar in moto, aveva deciso di smettere con le due ruote (dopo il ritiro di Yamaha Motor France) e partecipare con le auto. Ed ecco servito il terzo compagno di squadra e rivale di quell’anno. Tuttavia non era presente quel mattino, perchè arrivò solamente alla sera e ci ritrovammo nello stesso hotel. La mattina presto facendo colazione eravamo solo io e lui seduti al tavolo, al che mi disse:
“Ciao sono Stephane, siamo compagni di squadra allora.”
Sapevo benissimo chi era e mi tremavano le gambe. Al che risposi:
“Ciao sono Gianni e sì, siamo compagni squadra.”
Con grande piacere, dopo aver fatto colazione andammo a vedere le macchine in officina, senza tante parole! Nel tragitto dall’hotel al quartier generale del Team Dessoude, su di un auto della Nissan che era venuta a prenderci, ero seduto niente di meno che a fianco di Stephane Peterhansel. Dentro di me mi sono detto:” Siamo messi proprio bene. Praticamente tra i mie compagni di squadra e rivali, mancava solo Dio in persona per completare l’opera!” Stephane era un motociclista ma già da diversi anni si stava preparando, partecipando al campionato Francese Rally con una Subaru Impreza gestita direttamente dalla Prodrive. Insieme alle partecipazioni della 24 ore di Chamonix – che vinse per diverse volte – ed al trofeo Andros su Ghiaccio, il passaggio alle auto non fu così netto. Tutti prevedevano che sarebbe stato molto veloce in Africa anche sulle auto. Henry Pesacarolo era velocissimo e con già grande esperienza in Africa ed il belga Gregoire de Mevius, anche se con poca esperienza, era velocissimo comunque. Di conseguenza, sempre dentro di me mi sono detto:” Questa volta mi sa che bisogna tirare fuori le unghie davvero!”
La corsa non era ancora iniziata, ma la pressione era già alle stelle!
Racconto di Gianni Lora Lamia. ©gianniloralamia Tutti i diritti riservati.